MONACO

In questa prima parte cercherò di chiarire come ho vissuto

la situazione dell’essere monaco di San Benedetto: di

come un giorno entrai nel Convento e del perché, ad un

certo momento, ne uscii. L’essere entrato nella vita del

Convento non è stata per me una scelta per comodità o

dovuta da altre ragioni materiali, quali la ricchezza, o la

carriera, o la sicura sistemazione nella vita, o l’avere bisogno

di compagnia... Nessuno di questi motivi mi ha spinto

nella scelta dell’essere monaco. Il motivo è stato quello

di poter seguire quello che il Signore nostro Dio in quei

momenti voleva da me: sentivo nella mia anima la sete di

Lui, inappagabile nel mio continuare con la vita di sempre,

secondo il mio modo.

Percepivo che il mio realizzarmi nella vita poteva avvenire,

se io lo volevo, soltanto in un incontro più profondo

e disponibile con Nostro Signore, attraverso la scelta della

via dell’offerta totale a Lui nella vita del Convento. E questo

motivo che ora ho presentato non vuole essere occasione

per garantirmi in quello che andrò più avanti esponendo,

né deve essere interpretato come occasione per affermare

che sono partito con idee sicure e valide. Soprattutto

è mia intenzione sottolineare, in questa esposizione, l’immenso

amore di quel Signore che ha effuso fin dall’inizio

la sua grazia su di me; e per questo non posso mai smettere,

anche ora, di ringraziarlo.

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E i primi anni della mia vita da monaco, li ho vissuti in

questa serena disposizione, aiutato dall’esempio dei confratelli

e da tutte quelle circostanze che il Signore, Colui

che mi aveva chiamato un giorno a quella scelta, continuamente

poneva accanto a me, come segni del suo amore e

per far aumentare sempre più la serenità della mia fede.

Essendo tra i più giovani, avevo tante occasioni per

svolgere verso i confratelli e negli ambienti del Convento

il mio servizio: dall’aiuto verso i monaci ammalati, al

lavoro in cucina, alla falegnameria; dal provvedere a sostituire

qualcuno là dove era richiesto, al lavoro nella fattoria,

dove la richiesta di una mano era sempre necessaria;

dal fare da guida nel canto e nella preghiera del coro, ad

accompagnare i visitatori del Monastero, ...Tutte queste

cose contribuivano a rendere la mia vita sempre più inserita

in quella che ritenevo la giusta e più adeguata risposta

da dare a Dio: essere monaco di Lui, nello spirito del

Fondatore San Benedetto, la cui regola ‘Ora et Labora’

sentivo sempre più come la realtà vitale della mia esistenza.

Tutto cominciò a cambiare dopo la morte del nostro

Abate... Quel nuovo superiore, giunto da un Monastero

lontano, dall’estero, era poco conosciuto a tutti noi; e

aveva dato subito ad intendere, un po’ con le parole e un

po’ anche con i fatti, che lui era arrivato al Monastero solo

obbligato dall’obbedienza, e non volentieri, per una sua

scelta. Questo lo si capiva sempre più dai suoi atteggiamenti

nei confronti della vita interna: la disciplina era

divenuta sempre più insostenibile; e persino i più anziani,

che erano abituati anche ai più estenuanti sacrifici, davano

ad intendere che quel nuovo stile di irrigidimento delle

cose stava portando non soltanto alla disaffezione nei confronti

delle istituzioni preposte, ma anche alla perdita del

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vero senso di quello spirito gioioso della vita religiosa che

il Fondatore aveva un tempo proposto ai suoi seguaci. Un

senso di scontento e di tradimento delle realtà più profonde

prevaleva sempre più.

Non era più la vita serena a regolare le cose, ma quella

sofferta, della crisi: una crisi sempre più profonda, che

coinvolgeva tutti quanti. Da parte sua, il nuovo Abate continuava

ad affermare la validità di quella che lui additava

essere la Regola, e sottolineando lo spirito dell’obbedienza

come la prima delle virtù del mondo monastico, faceva

procedere le cose... mentre il tempo trascorreva e ogni

realtà non faceva che peggiorare.

Pur riconoscendo, da parte di ognuno di noi monaci,

l’intoccabilità dell’Abate e della Regola d’oro benedettina,

e d’altra parte condividendo l’obbedienza di fronte a

tutto, anche dinanzi alle cose che non andavano per il

verso giusto, e non avendo affatto intenzione di giudicare

male il superiore, né la sua condotta, né chiunque altro,

tuttavia, occorreva rilevare che la vita dei monaci era cambiata

in peggio: sempre più tensioni e nervosismi non

facevano altro che indicare lo stato d’animo di ognuno:

qualcuno era giunto sull’orlo dell’esaurimento nervoso,

altri avevano tentato di chiedere un trasferimento ad un

altro Convento, ma si erano sentiti rispondere che il

Signore li voleva lì e lì intanto dovevano restare.

Quando, una sera, nella riunione del Capitolo, si era

tentato da parte di alcuni di esporre con più chiarezza il

problema interno, il superiore aveva troncato tutto quanto

invitando alla preghiera, la quale sola era la luce dell’agire

e del capire le cose di Dio; e così, dalle parole chiare e

decise dell’Abate, si era ancora di più ritornati a quell’orlo

dell’abisso della crisi, sul quale ognuno di noi, in quei

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momenti, pericolosamente, stava cercando di barcamenarsi

il meno peggio possibile, e di salvare sempre ‘capra e

cavoli’. Anche la forza della preghiera, che a detta

dell’Abate mai mancava, non veniva più percepita con

quella serenità e intensità di prima; confrontandosi, ognuno

non esprimeva che crisi, buio, pessimismo e sconforto...

monotoni e contagiosi.

E tutto sarebbe continuato così, sempre più peggiorando,

se non fosse accaduto, un giorno, che... Quel pomeriggio

mi trovavo a lavorare nella stalla della fattoria, e stavo

pulendo la mangiatoia delle mucche; quando, dopo un po’,

a causa della stanchezza, non riuscii a stare sveglio, e mi

appisolai adagiato lì nell’angolo, dove c’era il mucchio di

fieno. Fui risvegliato da voci inconsuete... Guardandomi

in giro, e notando che era ormai buio, pensai di aver dormito

almeno per alcune ore.

Dall’altra parte del mucchio del fieno provenivano

delle voci di donna: “Basta! Ora non ne posso proprio più!

Finiamola!”.

“Su... su... non fare così!...” rispose una voce maschile

con tono suadente... Ma... ma quella!... No!... Eppure, non

poteva essere altro che la voce del... del nostro... Abate!.

Mi sollevai un poco tentando di osservare, da dietro il

mucchio di fieno... E là, in piedi, di fronte alla donna – la

moglie del fattore – c’era proprio lui: l’Abate!. Ma... che

ci faceva lì, con quella?!... “È vero – continuò la donna

seccata – hai dato molto denaro a me, e di questo ti sono

grata... Ma ora, basta! Non possiamo continuare così!...

Ora voglio che questa relazione finisca! È giusto, per me,

per te e per tutti!”. Sconcertato, mi ritirai il più possibile

nell’angolo, attonito, spiando con prudenza, attento a cosa

succedeva in quegli attimi.

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“Ma io non posso continuare a vivere senza di te! – disse

in tono supplichevole l’Abate, rivolto alla donna e tentando

di abbracciarla, mentre lei si svincolava dalla sua stretta –

No... non fare così, ti prego! Non fare così! Io ti voglio!”.

“No!... No!” gridò lei, mentre lui le si gettava addosso,

avvincolandola tra le sue braccia, mentre la donna cercava

disperatamente, in quella lotta impari, di fuggire via.

Rotolarono per un po’ sulla terra, mentre io restavo

impietrito ad osservare quella scena incredibile; avrei

dovuto forse fare qualcosa, ma la reazione di fronte a ciò

che stava accadendo era soltanto, e non poteva essere altrimenti,

quella del silenzio e dello sconcerto, che mi impedivano

di fare qualsiasi cosa. Finchè, la donna si trovò

sotto di lui, e l’Abate le prese le braccia e gliele distese sul

terreno, immobilizzandola; la schiaffeggiò con violenza,

poi si alzò, si svestì e si rigettò su di lei, nel tentativo di

violentarla; ma la donna opponeva resistenza, nonostante

la forza superiore dell’uomo; allora lui raccolse dal terreno

un pezzo di legno, e con quello la percosse sul capo con

un colpo deciso. Dietro il mucchio di fieno, io non sapevo

quasi nemmeno più chi ero...‘Che sta succedendo? Che

fare?’ continuavo a ripetermi. Intanto l’Abate la violentò,

mentre quella, priva di sensi, non dava più segno di vita.

Poi, lui si rivestì; appariva furioso e nervosissimo, agitato

e paonazzo.

Schiaffeggiò di nuovo la donna per alcune volte, nel

tentativo di rianimarla, ma senza alcun esito; allora le

afferrò il volto con le mani, e scuotendolo, la chiamava

disperatamente. Ma quella, niente: nessuna reazione.

...E così... sì... l’aveva uccisa!. Io mi appoggiai al muro,

trattenendo il fiato per la forte emozione, attendendo che

tutto quanto finisse...

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Ma le cose ora erano molto più gravi di ogni previsione.

Osservai l’Abate che, là di fronte al cadavere, stava

pensando una soluzione, e si guardava in giro... Finchè

fermò il suo sguardo là, alla pozza di fango dove si erano

adagiati i porci.

Guardò al cadavere, come per calcolare la possibilità,

poi la afferrò per le gambe e la trascinò verso... No!... Non

poteva essere vero!... Pensai di sognare, e mi scossi più

volte, per cercare di ritrovare la realtà.

Ma la realtà, purtroppo, non era che quella orribile e

tremenda situazione che mi si stava presentando dinnanzi.

Presso la pozza dove si trovavano i porci c’era una botola,

che finiva nelle fogne sottostanti, nella quale si scaricavano

i rifiuti della stalla.

Facendosi largo tra i porci trascinando la donna esanime,

l’Abate, nella penombra che lo distingueva ora solo

per l’affannoso respiro, giunse alla botola, l’aprì; sollevò

il cadavere e lo scaricò giù sotto; stette affacciato un

momento, per accertarsi che veramente non ci fosse più

traccia... Poi richiuse la botola, e si avviò lesto verso il

Monastero. Io rimasi ancora lì, pietrificato, incapace di

rendermi conto di essere stato testimone di una realtà spaventosa

ed assurda più che mai.

Poi mi alzai, andai piano piano verso la botola, l’aprii.

Ma, giù sotto, non si distingueva altro che il canale di

scolo dell’acqua sporca, che emanava un intenso sgradito

odore. Quella fogna, che proveniva dal paese, e passando

per il Monastero, finiva poi nel fiume, più in giù. Richiusi

l’apertura, e mi avviai, sconvolto, al Convento.

Il resto della giornata lo trascorsi andando su e giù per

la cella, ripensando a quello che avrei dovuto o almeno

potuto fare; a ciò che ora dovevo fare, a come poteva esse17

re stato possibile tutto questo; al fatto che lui, l’Abate, si

trovava in quella situazione impossibile da vivere... e a

tante altre cose, che mi tennero occupata la mente; finchè,

alle quattro del mattino, scoccò la campanella della sveglia.

Dopo pochi minuti mi trovai in coro, attendendo il

momento della preghiera... Sarebbe venuto lui, l’Abate?

Avrebbe avuto il coraggio di presentarsi, dopo quelle tristi

e orribili realtà che aveva vissuto soltanto poche ore

prima?. Al momento dell’inizio della preghiera mattutina,

mancava solo lui; già... come poteva esserci, come avrebbe

potuto?. Tutti si misero in piedi, per iniziare la recita...

e, in quell’instante, lui entrò!...

Come sempre, altero e impassibile. Raggiunse il suo

scanno, al centro del coro. Lo osservai, fingendo di guardare

sul breviario; ma non scorsi in lui alcun segno di agitazione

o di tentennamento: era proprio quello di sempre:

sicuro, severo, e... limpido!.

Ma come poteva riuscire a nascondere ciò che era

stato?! Come riusciva a far finta di niente?!.

“In nomine Patris...” intonò con voce sicura, mentre

tutti rispondevano a tono. Quella preghiera per me fu la

più distratta della mia vita. Durante quei momenti, nei

quali gli altri pregavano, o almeno tentavano di farlo, io

non feci altri che ripensare all’accaduto: rivedevo di fronte

la scena della violenza sensuale e assassina... e lui... e lei

cadavere che finiva nel fosso.

E risentivo in me il rimorso della coscienza, e i pensieri

si mescolavano alle preoccupazioni, alle cose che avrei

fatto in seguito.

Anzitutto – mi proposi con decisione – occorre che

vada da lui, e gli dica che ho visto: che sono stato testimone

di questo suo delitto!.

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Mi sarebbe costato non poco, certo, mi dicevo. Ma la

verità era quella; e anche se ora all’Abate poteva certo

apparire la più tremenda e macabra da affrontare dopo

quello che aveva compiuto, cosciente o no in quella nottata,

le cose stavano così, e doveva sapere che io lo avevo

visto. E, da parte mia, era doveroso presentarmi a lui e

riferirgli ciò di cui ero stato testimone, e che lo riguardava...

e prima che tutto si complicasse.

A mattina inoltrata, si presentò il fattore alla portineria

del Convento; appariva disperato, perché non riusciva a

sapere dove era andata a finire la moglie... Dalla sera

prima, non si era più vista a casa.

E ora, in un disperato gesto di aiuto, si era rivolto ai

monaci, per avere un conforto e un ausilio da loro in quell’angoscioso

momento.

Io mi trovai a passare dalla portineria proprio in quei

momenti, e udii lo sfogo di quell’uomo con il monaco portinaio,

che lo assicurava che il Convento avrebbe fatto il

possibile, con la preghiera e la collaborazione che poteva

dare, per risolvere quella situazione. Io mi avvicinai al fattore,

e lo rincuorai: “Vedrai: presto ritornerà... si sarà

allontanata senza pensare di avvertirti!...” e mi tornò in

mente la scena della notte, mentre quell’uomo mi abbracciava

piangendo e sfogandosi in quella situazione confusa

e misteriosa. In quel momento mi riproposi di recarmi da

lui, dall’Abate, e affrontarlo una volta per tutte.

Non lo avevo ancora fatto, promettendomi di andare da

lui verso mezzogiorno; ma l’incontro con quell’uomo

disperato faceva ora accelerare le decisioni e il da farsi.

Deciso quindi a non rimandare oltre, mi recai allo studio

dell’Abate; mi feci annunciare dal monaco segretario, che

dopo pochi minuti mi disse: “Entra pure, ti sta aspettando”.

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“Dimmi...- iniziò lui, e mentre parlava riordinava le

carte sulla scrivania- mi hai mandato a dire che volevi parlarmi,

e di cose importanti e urgenti; beh, dunque?...” e

negli attimi di attesa riordinava e controllava nel cassetto

della scrivania.

“Io, Padre Abate, sono stato testimone... del suo delitto!”

gli dissi con tono calmo della voce, ma anche con

sicurezza e decisione.

Lui mostrò un fremito di reazione, che però cercò subito

di tenere sotto controllo; abbandonò le sue attenzioni

nel cassetto, e volse lo sguardo che celava a stento il timore

e la sua preoccupazione a me, che gli stavo seduto lì

innanzi. “Lo sapevo che, prima o poi, sarebbe successo

così...” disse con voce pacata e sicura.. Io stavo in silenzio,

ad attendere che tutto continuasse secondo le sue indicazioni,

e che manifestasse meglio anche ciò che in quelle

poche parole aveva ora accennato; rimanemmo così per

qualche attimo, silenziosi, seduti l’uno di fronte all’altro;

poi, lui continuò. “Ti meraviglierai della mia reazione...

Forse ti attendevi da me una forte emozione e un’agitazione,

alle tue parole; ma non può essere così...- e si alzò e

andò verso la finestra; guardò un attimo, assorto, là fuori,

poi proseguì – Ormai io sono così e non posso far altro che

rendermi conto di essere tale... che non potrò mai migliorare

e cambiare... che ormai sono schiavo di quello che

sono, e non c’è più niente da fare” e volse lo sguardo a me.

“Non la capisco... non riesco proprio a capire quello

che mi sta dicendo, Padre Abate!” osservai confuso.

“Voglio che tu sappia... specie dopo essere stato testimone

di ciò che hai visto... ti dirò... Ma promettimi che

quello che ti dirò sarà una confessione: sì, ti sto chiedendo

questo, ora... d’accordo?”.

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Tacqui per un momento, prima di rispondere: il Padre

Abate mi stava chiedendo di confessarlo... Ma veramente

questa era la sua intenzione, o non invece quella di assicurarsi,

con il sacramento, al quale poi io venivo vincolato,

la mia segretezza, e quindi mettendomi nell’impossibilità

di rendere testimonianza nei suoi confronti?... Ma, in quel

momento, prevalse in me il dovere di accondiscendere, e

di non rifiutare a lui, così come doveva esserlo in ogni

caso, la richiesta di confessarsi.

Alla possibilità di rendere la verità evidente, ci avrebbe

pensato la situazione. Non potevo ora rifiutare il sacramento

solo perché io ero stato testimone di quel delitto; e

poi, non dovevo ritenermi io soltanto la chiave di soluzione

di quella vicenda...

La verità sarebbe venuta a galla per se stessa, a poco a

poco, anche se io non avrei potuto offrire quel pur valido

contributo della mia testimonianza; infine, il sacramento

era la realtà più importante, ora, l’efficacia del quale

avrebbe aiutato tutti quanti, primo fra tutti l’Abate, a far

procedere le cose secondo ciò che era meglio: secondo la

volontà di Dio, in quella tremenda situazione.

Mi rimproverai anche il fatto di pensare male

dell’Abate, che, pur avendo compiuto quell’efferato delitto,

da parte mia non poteva essere giudicato, ma soprattutto

aiutato.

“D’accordo, Padre Abate” risposi con un accennato

sorriso, mettendomi nella disposizione di ascolto delle sue

parole. “Da un po’ di anni tutto è peggiorato... – iniziò lui,

con lo sguardo rivolto al cielo limpido là fuori - All’inizio

ero un buon Abate, un discreto superiore, senza né pecche

gravi, né grandi doti: un normale servo di Dio tra i monaci

di San Benedetto. Poi, un po’ alla volta, non so nemmeno

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come di preciso, la tentazione di essere di più e di avere di

più è prevalsa con una intensità progressiva e insistente, al

punto da perdere in me stesso la capacità di ascolto di me

stesso, degli altri, di Dio: sì, anche di Lui!. Ora che ti sto

parlando così, forse a te non sembrerà possibile ciò che ti

sto dicendo, vedendomi qui calmo e controllato a parlare

con te. Ma ciò che c’è dentro di me e che spesso prevale

senza che io riesca a controllarlo, è la forza nientemeno

che del peccato, di Satana, che spesso mi possiede e mi fa

fare, indirettamente, come nel considerare male gli altri, o

direttamente, come mi hai visto fare tu, il male peggiore.

Sì: sono posseduto dallo spirito del male, me ne accorgo

sempre di più; e sono incapace di resistere: Lui mi trasforma,

piano piano, solo qualche volta in modo evidente e

così provocante; ma sono un posseduto dal Demonio! Non

ho dubbi al riguardo!”.

“Ma... ma che state dicendo, Padre Abate?! – esclamai

interrompendolo – Non può essere possibile! Anche con il

male peggiore che lei ha compiuto, e questo certo non lo

possiamo ignorare, non possiamo nemmeno disperare

della grazia e del perdono di Dio!... E la sua preghiera?...

Non le è di aiuto in questo momento?”.

“Da tanto ormai non riesco più a pregare!” rispose lui

con lo sguardo assorto rivolto a là fuori. “Ma che va dicendo,

Padre Abate? – intervenni con convinzione – La preghiera

di questi periodi, e la sua vita di monaco, ...non può

considerare tutto quanto falsità o ipocrisia!”.

“Forse non questo – disse lui – ma certo è che ogni preghiera

e ogni sforzo non ha fatto altro che contribuire a

rendere ancora più denso il potere della tenebra in me; non

ha dato, cioè, dei frutti; e io mi sono sempre più ritrovato

a rovinare me stesso e gli altri. Al punto di abituarmi

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anche al male, da considerarlo ormai dimensione importante

e necessaria per la realizzazione della mia vita! Ti

rendi conto? Io, teoricamente, rifiuto quel male; ma sento

anche che esso è un potere più forte di me, e che nonostante

le preghiere, i sacrifici e tutto quanto gli altri possano

fare per me, non è possibile da parte mia evitare: mi sento

ormai veramente schiavo di questo potere!”.

“No!... Non può essere possibile che lei dica questo!

Ora si trova agitato e sconvolto, per questo parla così...”

dissi, cercando di riaffermargli le mie convinzioni.

“Sarà pure ciò che dici. Ma non è solo questo fatto che

mi porta ad affermare queste cose: il delitto che ho commesso,

non avrei potuto in alcun modo evitarlo: era proprio

una realtà da compiere; perché, pur non volendo il

male, mi sono trovato sotto il suo potere, che in quel

momento mi ha portato a ciò. Ma questo non è che l’ultimo

atto di tanto e tanto male che ho portato in me e attorno

a me. Osserva soltanto nel Monastero: guarda come

sono cambiate le cose, e sempre più in peggio. Pensi forse

che non me ne sia reso conto? Eppure, in tutto ciò che procede,

sento che è qualcosa più forte di me che conduce

tutto quanto e che dà la rovina. Pensi che io non voglia

evitare tutto questo? Eppure, è più forte di me, e prevale.

E il Monastero sta andando alla rovina, sempre più; anche

voi ne state risentendo. È vero, ci sono molti bravi monaci,

che resistono a questa mia forza maligna che trasmetto

attraverso il mio essere superiore... ma fino a quando?

Pensi proprio che si andrà avanti ancora per molto con

questa sempre minore serenità e sempre maggiore tensione

che entra nella vita della comunità?”.

A questo punto rimanemmo un momento in silenzio, in

un cupo e profondo silenzio che gravava come ossessione

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su entrambi. Poi, lui continuò: “E per quale motivo pensi

che i superiori mi abbiano mandato qui?... Questo era il

meno peggio... questo Monastero era uno dei pochi dove

c’erano pochi monaci; e dove io, sebbene a malavoglia,

accettavo di entrare come Abate. E così, dopo aver rovinato

quel Monastero dov’ero prima, e ti risparmio i fatti,

anche se puoi intuire che non accadde altro che male e

rovina, ora sono qui e, mio malgrado, sto rovinando, attraverso

l’occasione del mio essere Abate, me stesso e tutti

voi”. “Ma i superiori... che dicono a questo riguardo?”

chiesi io. “Che vuoi che dicano? Io ho spiegato loro come

stavano le cose, un tempo, quando tutto non era ancora

così gravemente compromesso, quando ero ancora all’inizio

di queste esperienze di male. Ma loro non è che abbiano

dato molto rilievo alla faccenda: mi hanno detto di

obbedire, e di non rendere la situazione troppo evidente...

che più o meno per tutti e dappertutto il male c’era. E così,

non ho potuto farmi aiutare nemmeno da loro; e le cose

sono pertanto proseguite e peggiorate”.

“E a questo punto - mi scusi se la domanda può essere

personale e forse esagerata – non ha mai pensato a...

lasciare il suo essere Abate, restando magari semplice

monaco, per poter recuperare o frenare tutto quello che

succedeva?”.

“Eh!... Ci ho provato sì, e l’ho proposto ai superiori.

Ma sai che, quando uno ha rivestito il ruolo, da Abate, ed

essere ridotto a monaco, non poteva essere secondo loro la

scelta più giusta; quello che dovevo fare, da ciò che ho

compreso allora, era di continuare, il meno peggio possibile,

cercando di celare alla meglio; le cose, con il tempo,

si sarebbero dovute sistemare. Ma, come tu stesso hai

potuto constatare, non è stato affatto così, fino ad ora”.

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“Ma lei, Padre Abate, come si sente ora?”.

“Vivo in quell’assurdo che pareva tanto impossibile, in

teoria, da praticare; ma che, in concreto, mi trovo a vivere

ogni giorno: essere Abate, e convivere con la potenza del

Demonio su di me; cercare di non approvare mai, ma essere

sempre costretto a fare ciò che non vorrei. Penso sia, in

fin dei conti, il problema di ogni uomo di buon senso, che

consideri la propria situazione. Il fatto è che nella mia vita

le realtà sono giunte agli eccessi, e i contrasti ormai convivono,

quasi perfettamente. Lo diresti, in questi momenti,

che io sono indemoniato e posseduto? Non penseresti

proprio...”. Scossi il capo in segno di condivisione del suo

discorso.

“Eppure – continuò – il male vince e provoca effetti più

che mai; anche ora che ti sto parlando, sento di non poter

far nulla per evitare che esso, in queste mie parole, prevalga!”.

“Ma già il poter parlare di queste realtà – intervenni

– qui, ora, di fronte a me, con questa serenità e chiarezza,

la rende superiore certamente a questo male, non le

pare?”. “No... sembra a te – riaffermò lui – ma in effetti,

non è così; sento che in questo momento è ancora il potere

del male in me, che agisce e provoca attorno le sue conseguenze

funeste. Non so se tu ne resterai contagiato; non

lo vorrei proprio. Ma so che io intanto ti sto portando solo

male, anche ora, con queste mie parole e con questo mio

agire misterioso anche a me stesso, di fronte al quale non

posso affermare altro che il potere del male stesso: del

Demonio!”. “Ma se lei spera che non sia così, per lei la

speranza è più forte!”.

“In teoria, sì. Ma, in pratica, nella mia vita, questa speranza

non si realizza. In teoria: constaterai come me la

cavo bene nelle istruzioni, nell’illustrarvi la Regola, nel

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consigliare e suggerire ciò che, apparentemente, anche per

voi è il meglio. Ma non è che quel potere, che continua

attraverso di me, e anche a voi! E già ne state sperimentando

gli effetti malefici... non è così? - e venne a sedersi

alla poltrona della sua scrivania, di fronte a me, e ripetè la

domanda guardandomi fisso, come dicendola più per se

stesso che per me – ...Non è così che sta succedendo?”.

Rimasi in silenzio, a fissare quegli occhi che non parevano

certo quelli di un posseduto, ma di una persona saggia.

No, non poteva essere un indemoniato il nostro Abate!

Certo, aveva violentato e ucciso. Ma quel suo parlare lo

rendeva presente a se stesso più che mai, come persona

saggia e vicina a Dio.

E quei pur tragici fatti non potevano compromettere la

superiorità dell’amore di Dio e della Sua presenza, di fronte

anche alla più tremenda delle tentazioni assecondate:

Dio era pur sempre più forte e più presente di ogni peccato

e di Satana!. Certo, il sentirlo parlare così sconvolgeva

alquanto. Ma non poteva essere uno strumento del male,

lui, l’Abate! E in lui si sentiva ancora la speranza, il desiderio

di non condividere quello che stava compiendo,

anche il male compiuto poche ore prima.

Non poteva essere così forte il male, al punto di giungere

ad annientarlo!. Osservai nel suo sguardo ancora un

poco, esitando, prima di porre la mia domanda; poi chiesi:

“Ma... allora, che farà?”. “Nulla di strano – rispose con

tranquillità – tutto ciò che facevo prima. Apparentemente,

sono l’Abate: all’esterno non appare nulla di ciò che sono

internamente. E il desiderio di comunicare agli altri la

verità profonda verrà sempre soppresso, anche ora, dalla

necessità di nasconderla. Come ho fatto da tanto tempo, al

punto da abituarmi a questo stile di vita assurdo...”.

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“Ma allora – chiesi trepidante – non ha nemmeno intenzione

di confessare quella sua colpa!... Quell’omicidio!”.

“No – disse senza batter ciglio – nessuna intenzione:

tutto procederà, come prima, come se nulla fosse accaduto”.

“Ma... io lo so!... E di questo posso...!” ma mi bloccai:

il segreto della confessione, che avevo accolto, mi

avrebbe impedito ogni mossa di testimonianza di ciò che

avevo visto e sentito, di ciò che era veramente stato, e continuava

ad essere! Eccomi imbrogliato! mi dissi, stringendo

i denti con una espressione di rabbia e di rimorso.

Non riuscivo in quei momenti a capire fin dove era

stato nelle intenzioni dell’Abate confessarsi per trovare un

aiuto nel sacramento, e dove aveva agito la scaltrezza

della sua malvagità; per cui, riversando quei problemi suoi

anche su di me, ora ne venivo io stesso attorcigliato e

imbrogliato...

E se avesse veramente ragione lui, nel dire che in tutto

questo stava agendo una realtà demoniaca più forte di tutti

noi?... Ma allora tu, o Dio, dove sei? Dove sei finito?

Come puoi tollerare che ciò avvenga?... Dio?!... Ma queste

domande erano troppo impegnative e profonde per

rispondere in quel momento; sentii l’esigenza di andare

subito a riesprimere questi interrogativi là dove era possibile

dirli senza problemi di restrizioni e vincoli, e sentendo

se vi fosse una possibile risposta... là, da Lui, da Dio

stesso. Bisognoso di avviarmi al più presto là, di fronte al

tabernacolo, dopo poche altre parole e un saluto superficiale

e frettoloso, lasciai l’Abate e mi recai nel coro.

Entrando in chiesa, mi incontrai con uno degli anziani

monaci, che si era soffermato ancora un attimo in coro a

pregare, ed ora stava raggiungendo gli altri in refettorio

per il pranzo; lo avvertii di non attendermi, che non sarei

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andato a pranzo. Poi, richiusi quel passaggio che dalla

sacrestia portava all’interno della chiesa. Ecco, ora ero lì,

solo con il mio Dio... In chiesa non c’era nessuno; e fino

alla recita della preghiera delle tre del pomeriggio, non

sarei stato certamente disturbato.

Avevo quindi tutto quanto il tempo per chiedere a Dio

quelle realtà che mi premevano e mi urgevano da dentro,

e che ancora non trovavano alcuno sfogo. Passeggiai per

un attimo avanti e indietro, nel mezzo della navata della

chiesa; poi, salii dietro, nel coro, e mi misi là, in mezzo, al

posto che veniva occupato dall’Abate.

Mi inginocchiai e rimasi in silenzio, con il volto raccolto

tra le mani, per prepararmi a quell’incontro... “Dio!...

Ma dove sei?! – iniziai pregando con decisione, volgendo

lo sguardo là, al Tabernacolo – Rispondi! Fatti sentire!...

Non puoi restare nel silenzio! Parla! Di’ qualcosa!”.

Mi alzai e di nuovo tornai nel mezzo della chiesa, passeggiando

su e giù e meditando; poi, mi sedetti su un

banco, e volgendo là di nuovo il mio sguardo preoccupato

e piangente, iniziai senza ritegno alcuno il mio sfogo:

“Dio!... Non credo più!... Nemmeno che tu possa ancora

esistere! Ma come puoi permettere ciò che è stato, e ciò

che avviene?... Come puoi lasciarci in balìa, noi tutti, e

perfino lui, il nostro Abate, ad essere ridotti a schiavi del

male?!... Perché non c’è più la tua luce? E dov’è tutto ciò

che sei?... Dove sei?... Ma... ci sei?!...”.

Mi avvicinai al Tabernacolo, e iniziai le mie assurde

illazioni: “Ma che ci fai rintanato lì?!... Non vedi quello

che sta succedendo?!... Sì, ci vuole fede?! È questo solo

che ci dici?!... Ma non siamo dei santi, noi! Abbiamo i

piedi qui sulla terra!... Non ci stai chiedendo un po’ troppo?!”.

Avvicinandomi, misi il volto davanti alla porta

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chiusa del Tabernacolo: “Ma forse sto parlando a vuoto!

Forse ci hai imbrogliati per tutta una vita... Ci hai illuso;

anzi, ci siamo illusi che lì dentro ci fosse un qualcuno, che

attorno – e ritornai nella navata della chiesa – e che nel

mondo ci fossi per davvero. E adesso, nel constatare quello

che avviene... Dove sei?... Siamo abbandonati?!... Forse

lo siamo sempre stati!”.

Mi asciugai le abbondanti lacrime che in quello sfogo

confondevano, oltre alle idee, anche la possibilità di

distinguere le cose attorno; cominciai a vedere, in quella

penombra della chiesa scarsamente illuminata, soltanto

tenebra e buio; andavo su e giù innervosito, e puntando i

pugni ora su un banco, ora su un altro, ora sull’altare,...

“Ma che ho creduto finora? A che cosa sto credendo adesso?!...

Ma che imbroglio sta emergendo da questa situazione?...

Tutte falsità, quelle finora vissute... Che ora

cadono, cadono! Non resta in piedi nulla!... E questo

Dio?!... Dove sei?!... Ci sei?!...”.

Ero sempre più confuso, e con i miei sfoghi cercavo

sempre più di avere qualche sostegno, qualche certezza, di

fronte a tutte quelle realtà che erano apparse essere le basi

della fede; ma che ora, di fronte a quelle vicende appena

vissute, si rivelavano come inconsistenti e futili... Quelle

realtà della vita dell’essere monaco, e prima ancora uomo

di fede, che di fronte alla situazione sentiva il venir meno

di ogni realtà ritenuta allora positiva e che invece ora, proprio

adesso che avrebbe dovuto apparire come efficace,

non sembrava nemmeno esserci più!.

E anche Dio si sgretolava di fronte a quei problemi!...

Dov’era finito, se mai ci fosse stato? Forse avevo creduto

a tante falsità; e mi ero giocato la vita per Lui... già, ma per

chi?. Ora, lì, non sentivo proprio niente di Lui: la preghie29

ra, la mia vita per Lui, non apparivano proprio per niente...

o meglio, solo come realtà sprecate; mentre appariva sempre

più la mia esistenza come vita non goduta pienamente,

ma rovinata da quelle idee e credenze infantili che mi

facevano dire le preghiere e parlare con un Dio inesistente,

e frutto soltanto della mia immaginazione.

Dimenticando il Tabernacolo, andavo avanti e indietro

dalla chiesa, come se in effetti non esistesse alcuna presenza

di Dio, lì; ripensando solo a me stesso, alle realtà

accadute, e inveendo contro quel crocifisso che ogni tanto

mi si parava di fronte: “Per chi stiamo vivendo?! Per te?!...

E poi eccoti lì... Certo: Risurrezione, fede... e tutto il

resto... Ma non è possibile sentirle! Sono cose morte, proprio

come tu, lì,... e adesso anche qui!” e indicai il mio

cuore. Ero adirato e confuso, incapace di ragionare per

mio conto; mi pareva proprio di risentire quelle affermazioni

dell’Abate che diceva: “Ora io sono così e non potrò

cambiare... Vivo sotto il potere del male, e non c’è più

nulla da fare...”.

Già... ora, proprio lì nella chiesa, sentivo sempre più

forte la potenza del male, e sempre meno consistente la

presenza di Dio. Forse lo bestemmiavo e gli inveivo contro

per dargli un’ultima possibilità per farsi sentire, per

intervenire... Ma dopo ogni volta, concludevo che non

potevo far altro che constatare di Lui l’impotenza ad aiutarmi,

ad aiutare il Padre Abate, ad aiutare quei monaci in

quel Monastero sempre più in sfacelo... E allora forse,

anzi certamente, era meglio così: che tutto si sfaldasse,

che crollasse, per recuperare la vita, intanto che c’era

ancora un po’ di tempo. Quella vita che l’immagine di Dio

mi stava oscurando anche adesso; benvenuta quella rovina,

allora, e quell’omicidio compiuto dal Padre Abate,

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perché tra tutti i torti, aveva anche il merito di aprirmi gli

occhi alle nuove possibilità della mia ragione, dei miei

progetti, finora chiusi in questo lugubre luogo dove la mia

vita solo illusoriamente aveva senso...solo superficialmente.

Ma ora le cose cambiavano; già, stanno cambiando,

Dio che non sei mai esistito!.

Sentivo soltanto me stesso, in quel momento, e tutto

quello che era di Dio o riferito a Lui, non appariva nemmeno

più all’orizzonte... veniva spazzato via subito...

Mentre si ergeva, sempre più consistente, la mia capacità

di essere un uomo vero e autentico senza Dio!. In un attimo

di questa euforia, mi volsi al Tabernacolo, e sorridendo

ironicamente, esclamai: “Ma vai al diavolo anche tu!”.

Poi mi sedetti su un banco, meditando, un po’ ad alta

voce, e un po’ nel silenzio: no... non posso continuare così,

ad illudermi di un Dio che non esiste! Sento ora come

verità ciò che dice l’Abate: non c’è niente da fare...

Prevale il Demonio... Eh, sì, caro Abate! Per forza!... E

come potrebbe prevalere un Dio che non si fa sentire?... E

che non c’è?. Vivrò con il Demonio...visto che non c’è

altra possibilità, a quanto pare. Faremo quello che vuole

lui, Satana... Forse, non è poi tanto male!. Guardai al crocifisso,

e lo insultai con un’altra bestemmia: “È vero che

non hai potuto scendere dalla croce; e non puoi ora volere

che noi la prendiamo!”.

Quella vicenda dell’Abate mi aveva sconvolto più del

previsto, e mi aveva portato a tutte queste reazioni; e non

erano atteggiamenti, questi, che rimasero chiusi in quei

momenti; no, cominciarono ad intensificarsi anche nelle

giornate seguenti, dandomi sempre più motivi validi per

lasciar perdere tutto ciò che ero stato finora: il mio essere

monaco... ed anche la possibilità di un futuro con la pre31

senza di Dio. Ora, solo il mio io era il punto di riferimento

di ogni realtà: sempre più, e sempre più intensamente!.

Ma ciò che diede il colpo di grazia a quelle insorgenti

domande sulla consistenza di Dio nella vita, che in quei

momenti ancora tentavano di sopravvivere nella mia

coscienza corrosa e quasi completamente annebbiata, fu il

suicidio del Padre Portinaio: si era gettato giù dal campanile,

andando a conficcarsi con le budella in uno dei pali

che sorreggevano la recinzione sottostante, lanciando urla

strazianti prima di morire; e lasciando un messaggio scritto

su un foglietto che avevamo ritrovato nelle sue tasche:

‘Ma che state a vivere così? Meglio morire! Io vado ad

aprirvi la porta. Come sempre, arrivederci’.

Quel fatto sconvolgente, spiegato dall’Abate come il

frutto di un esaurimento nervoso che il monaco aveva già

da tempo, non fece altro che ingigantire il malessere della

vita nel Monastero... E dopo alcuni giorni, decisi di abbandonare

definitivamente quello che non ritenevo più il

posto ideale della mia vita, e il mio essere monaco; cercai

di convincere anche alcuni degli altri, parlando ai più giovani.

Ma quelli non se la sentivano di fare un passo così

decisivo: preferivano rimanere, con le loro crisi, e continuare,

nella speranza di vedere la situazione rischiararsi.

Quando esposi all’Abate la mia decisione, lui rimase

apparentemente imperturbabile...

Ma comprendevo che anche per lui era la cosa migliore

che stavo facendo: non avrebbe più avuto tra i piedi uno

scomodo testimone; e poi, circa la testimonianza che avrei

potuto dare nei suoi confronti, egli sapeva che, da parte mia,

niente sarebbe trapelato, neppure là, fuori dal Convento, e

senza più gli obblighi del mio essere monaco; ora, in

effetti, avrei avuto anche la possibilità di intervenire

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ed accusarlo: no... Gli avevo promesso che non avrei mai

più parlato di quella faccenda; e che se la sarebbe sbrigata

lui, con la sua coscienza.

Aveva allora cercato di farmi capire di apprezzare quella

mia intenzione, invitandomi a farmi sentire, se avessi

avuto bisogno di qualche cosa, di denaro o di una sistemazione...

Ma io gli risposi di non preoccuparsi, perchè uno

zio facoltoso mi era ancora molto affezionato, nonostante

quello che stavo facendo, rinnegando la mia vita monacale,

e mi avrebbe lui aiutato più che volentieri.

E così, tutto quanto pareva risolto per il meglio: io ora

stavo recuperando la mia vita che stavo rischiando di perdere;

il Padre Abate si trovava al sicuro; i monaci avevano

materia da offrire al Signore per valorizzare quei

momenti; e Satana era colui che aveva realizzato tutti i

suoi desideri, compreso quello della constatazione della

morte di Dio.

Ora, mentre percorrevo la strada del ritorno a casa, su

quella carrozza che imboccava il viale alberato, incontrando

il tramonto del sole, pensavo tra me e me al fatto che

non era stato poi così difficile affermare la morte di Dio, e

cambiare tutta la mia vita: da Lui, che non era mai esistito,

a me stesso... Ora esistevo, e sentivo grande la voglia

di esplorare la vita e di recuperare tutto ciò che avevo

perso; e che, grazie all’Abate e al suo delitto, ora andava

riapparendo all’orizzonte dei miei interessi.

Satana, quel disgraziato, l’aveva fatta grossa, mi dicevo;

ma, aggiungevo sghignazzando: e che altro poteva

fare? Per fortuna che mi ha aperto gli occhi!.

E il seguire lui, non appariva poi così lugubre e pauroso

come mi era stato descritto; anzi, appariva affascinante

e desiderabile... Le cose del mondo riapparivano, allora, in

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quel momento, da lontano; e si avvicinavano, nella fantasia,

e si realizzavano al massimo: denaro, piacere, avere,

potere, regnare,... Tutte realtà sempre vissute come negative,

e che adesso si rivelavano essere i nuovi ideali della

rinnovata vita di un... ex monaco.

Ma chi me l’aveva fatta scegliere quelle vita da religioso?!...

Per fortuna, quella vicenda!... Per fortuna, mi ripetevo.

E sognando e risognando, tra un sobbalzo e l’altro

della carrozza, le cose perdute, e immaginando ora le realtà

da rivivere, mi addormentai, in quel viaggio che portandomi

fuori da una vita che ritenevo illusione, mi stava

conducendo alla nuova e reale esistenza che il futuro mi

stava prospettando dinnanzi.