In questa terza parte cercherò di spiegare come di
nuovo entrai nel Monastero, e divenni Abate, nonostante
avessi per molto tempo vissuto come uomo del mondo e
avessi ripudiato un tempo quella scelta della vita religiosa.
Quando giunsi al Convento, trovai ad accogliermi i
monaci, che opportunamente avvertiti dal messaggero,
avevano preparato un’accoglienza solenne e degna di un
nobile come ero io.
Dopo gli osannanti saluti, appena il tempo per sistemarmi
un poco dopo quel lungo viaggio, e ci fu la cerimonia
di introduzione dell’ospite al Monastero, e che tra l’altro
prevedeva la partecipazione a un rito religioso, la presentazione
dei singoli monaci, e un pasto consumato nel
silenzio. Io, nel frattempo, avevo chiesto conto dell’Abate,
del perché non si era ancora visto; ma mi era stato detto
che si trovava indisposto, e che mi avrebbe incontrato, privatamente,
più tardi, nel suo studio.
Dopo il riposo pomeridiano, che mi permise di rimettermi
in forma, fui dunque accompagnato da lui, dall’Abate...
“Eccellentissimo signore, siate il benvenuto!”
mi salutò quel vecchio seduto alla scrivania, che faticavo
a riconoscere come l’Abate del quale conservavo, sebbene
sbiadito, il ricordo nella mia mente. “I miei ossequi a
voi, reverendo Abate” risposi con l’educazione di sempre,
e compiendo un inchino, come mi capitava spesso di fare
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di fronte a una persona importante. “La ringrazio enormemente
per aver accolto il nostro invito; ed ora, spero vivamente
che accetterà la proposta che le faremo” continuò
lui, stando seduto, e mostrandomi con la mano la poltrona
sulla quale mi invitava a sedere.
Mi accomodai; e lì, di fronte a lui, scrutai quegli occhi
infossati tra le dense sopracciglia e tra la folta barba che
gli avvolgeva il volto, mentre gli chiesi: “Che mi viene
proposto?”. Lui rimase un poco nel silenzio, a guardarmi,
osservandomi come per scrutare la mia possibile reazione;
poi proseguì, abbandonando il tono formale del discorrere,
e ponendolo a livello personale e familiare: “Ricordi
quelle vicende?... Quel mio delitto... quegli anni nei quali
ero un Abate che mi ero definito: posseduto e indemoniato?”.
“Ricordo” risposi, cercando di intendere dove fosse
diretto nel discorso. “Ebbene, non è più così, ora; le cose
sono cambiate, e molto” e annuì col capo, come per approvare
la sua affermazione. “Bene, buona cosa, questa”
osservai con tono un po’ distaccato, e non comprendendo
ancora perché mi stesse dicendo quelle cose.
Mi guardavo intorno, come per distrarmi da quel dire
che non consideravo affatto interessante, e osservavo i
libri posti sullo scaffale accanto, un po’ impaziente di
dover stare ad ascoltare quelle parole.
“Il fatto è – continuò lui – che è successo ciò che non
mi aspettavo affatto, una cosa alla quale ero certamente
impreparato”. Lo osservai un po’ incuriosito, per intuire
ciò che poteva essere quella realtà tanto sorprendente da
aver colto l’Abate impreparato, e che lui adesso mi voleva
far conoscere. “Ecco... questo!” e si alzò, appoggiandosi
alla scrivania e avvicinandosi a me a piccoli balzi su un
piede, mentre l’altro... Che?!... Da sotto il saio, non appa59
riva che un solo piede!... Non aveva più una gamba!. Mi
alzai di scatto e mi feci incontro a lui, aiutandolo a riaccomodarsi
sulla sedia della scrivania, e intanto gli chiesi:
“Ma che è stato?... Che le è successo, reverendo Abate?”.
“È ciò che mi merito, dopo ciò che è accaduto per colpa
mia. È stata una cancrena, che da alcuni mesi mi ha preso,
e mi sta portando infezione; una gamba è amputata... Ora,
attendo che tutto il male prosegua e mi invada completamente”
concluse, esprimendosi con calma e serenità.
Rimasi ad osservarlo in silenzio: i suoi occhi lucidi
facevano trasparire un brulichìo che non riuscivo a capire
se fosse un segno di emozione per la gioia o l’espressione
del dolore che forse tratteneva dentro di sé.
Risentii in quel momento più vicini i ricordi del passato,
e percepii in quella persona anziana di fronte a me una
realtà molto vicina alla mia vita, a quella piccola ‘fiammella’
che dentro di me pareva, in quegli istanti, ritrovare
il fuoco al quale riunirsi ...E fu proprio questa impressione
che mi spinse a porre la mia domanda: “Che cosa è
cambiato?”.
“Molto – riprese – anzi, tutto. L’esperienza di questo
male a poco a poco mi ha costretto a cedere me stesso in
balìa di una realtà misteriosa che mi ha fatto cambiare, in
bene, in meglio certamente. Ora, vedo con più chiarezza”.
Alle sue parole, mi tornò in mente il discorso dello zio
sul letto di morte: quell’intuizione che egli aveva iniziato
ad esplicitare, ma che poi era rimasta nel silenzio della sua
fine, e che ora sembrava continuare nelle parole
dell’Abate. “Cos’è che vede più chiaro, reverendo?” chiesi
con curiosità. “Me stesso – disse – la mia vita, il mio
futuro, tutto quanto. E anche quel passato, che non perde
certo la sua tremenda situazione di male, viene ora però a
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ricevere un senso in ciò che io faccio, in ciò che sta avvenendo,
e nel fatto che ora tu sia venuto qui... Anche tu, sì,
mi hai confermato che quello svelarsi non è apparenza, ma
realtà”. “Svelarsi...? E di che?” domandai cercando di
capire meglio.
“Svelarsi di un piano superiore a noi stessi, che sta
avvenendo attraverso tutto quanto è successo e sta succedendo;
un piano misterioso, ma che anche si sta chiarendo,
un poco alla volta. Ed ora io lo vedo più chiaramente,
questo svelarsi... ora che tu sei qui!”.
Lo osservai, riconoscendo che egli aveva detto delle
parole che anche per me avevano un significato profondo,
e che io avrei certamente condiviso fino in fondo...dopo
aver sentito tutto quanto... anche quella proposta che
ancora egli non mi aveva manifestata, e che io volevo al
più presto conoscere.
Gli chiesi dunque con una certa ansietà e trepidazione:
“Che è allora la proposta che mi intende ora fare, reverendo
Abate?”. “Semplice, e subito esposta, carissimo fratello:
questa comunità di monaci le propone di diventare il
suo nuovo Abate!” rispose lui sorridendomi.
“...Che?!... Ma che state dicendo?!... Ma... Io non sono
più un monaco!... E non intendo ridiventarlo!... E né tantomeno
essere Abate!... Ma... Da dove è venuta questa
folle proposta?!...” e mi alzai, mettendomi a percorrere la
stanza avanti e indietro, confuso ed irritato per quelle
parole. L’anziano Abate mi seguì con lo sguardo, lasciandomi
sfogare completamente; quando mi vide un po’ più
calmo e fermo, a sospirare e scuotere il capo in silenzio, in
segno di sconcerto e di confusione, riprese con calma e
sicurezza: “Io... sono stato io personalmente a proporre
alla comunità la tua nomina ad Abate; ed essi, tutti quan61
ti, hanno accettato”. “Ma... lo sanno che sono un nobile?!...
E non più un monaco?!...” chiesi irritato e con un
sorriso ironico, come per far constatare all’Abate un’evidenza
che non era stata considerata.
“Sì, lo sanno bene; li ho bene informati, al riguardo”
rispose calmo e sorridente lui.
“Ma allora... com’è questa storia?!” e mi sedetti, confuso
e sempre più irrequieto, di fronte a quelle affermazioni
contrapposte di me e dell’Abate, e che secondo lui si
conciliavano senza problema; e poi, come poteva chiedermi
di diventare Abate? Che assurdità andava dicendo? Era
forse uscito di senno? Forse era la sclerosi e l’età, che lo
stavano facendo sragionare e non gli permettevano di
essere totalmente in sé... Io, ormai ero un nobile; e se ero
venuto lì era solo per... Già... per che cosa?.
L’anziano Abate sorrideva intensamente, e in quel
modo egli si stava accattivando la mia simpatia... Sì, perché
c’era qualcosa in me che non mi stava seguendo nella
logica che esprimevo a parole, mentre invece stava
seguendo e dando pienamente ragione a quel vecchio che
pareva, dal profondo di me stesso, più saggio che mai, in
quel momento.
Sentivo che l’appiglio della fortuna c’era, sì; e non mi
stava affatto abbandonando, ma era proprio lì, in quelle
assurde affermazioni dell’Abate, che ora io stavo accogliendo
sempre meno come impossibili, e sempre più
come la realtà da condividere con ciò che, dentro di me, si
faceva sentire come una situazione misteriosa ma autentica.
Era quella piccola fiammella, che ora sentiva di trovarsi
di fronte al fuoco al quale unirsi e ricongiungersi.
E anche se l’evidenza e la mia logica mi frenavano, tuttavia,
ad ogni istante che passava, sentivo sempre più vero
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ciò che avevo ritenuto fino a pochi attimi prima come
impossibile, e sempre meno autentico invece ciò che io
volevo in apparenza difendere come essenziale per la mia
vita. Percepivo che le mie parole erano un ultimo e inutile
tentativo di difendere ciò che interiormente io condividevo,
e che esternamente non volevo dare ad intendere di
approvare.
L’anziano Abate, avvicinando il suo volto al mio, come
per suggerire parole importanti, iniziò a sciogliere quell’enigma:
“Ecco com’è andata: ho raccontato tutto quanto
di me, da quel fatto del delitto di quella donna, al comportamento
che esigevo nel Convento, alle crisi di voi monaci,
al suicidio del Padre Portinaio, e a tutte le altre vicende
per colpa mia negative.
E quindi, in particolare, alla tua rinuncia, a causa mia,
del tuo vivere da monaco qui, scegliendo di andartene là,
da quel tuo parente. Ho raccontato loro proprio tutto quanto;
ma soprattutto, di quella logica che mi portava a farlo.
Ricordi? Del fatto – te ne avevo parlato – che dietro di me
sentivo come più potente ed impossibile da vincere, la
potenza demoniaca del male, che tutto questo mi stava
facendo fare.
Già, anzitutto ho rivelato quel piano diabolico, che
attraverso di me stava continuando, da tempo, ad invadere
e a vincere in questo Convento, e nel cuore delle persone
che esso ospitava” e qui fece una pausa, ritirandosi
indietro, e ponendosi comodo contro lo schienale, ormai
certo che la mia attenzione ora non sarebbe più venuta
meno. “Ma – chiesi sorpreso e incuriosito, e a quel punto
anche le mie parole assunsero un tono più confidenziale –
Cos’è stato a farti decidere di rivelare tutto quanto? Perché
l’hai fatto?”.
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“Perché questo male mi ha illuminato, e mi ha dato la
forza di avere speranza che quel male peggiore che stavo
facendo a me e a tutti quelli che mi stavano attorno poteva
essere sconfitto; non da me, no... Io, ormai, anche ora
che ci sono ancora dentro, non riuscirei mai ad agire libero
come... te!” e mi fissò come indicando in me la soluzione
di tutti i problemi.
“Ma io... io... non sono più monaco! – ripetei ancora,
più per convincere me stesso, che lui – Come potrebbe
essere possibile quello che mi dici?”. “Tu, monaco lo sei
sempre stato – proseguì calmo lui – e in fondo, in ciò che
eri, non lo hai mai rinnegato; io ti ho fatto rinnegare il tuo
vivere da monaco, sì... Ma ciò che tu sei, profondamente,
anche ora, e lo prova il fatto che non te ne sei ancora andato
via e mi stai ad ascoltare, è proprio questo: sei un monaco:
questa è la tua vita! ...Anche se io ti ho obbligato, mandandoti
in una profonda crisi, e costringendoti, indirettamente,
ad uscire da qui, e a vivere in modo diverso. Ciò
che tu sei, non lo puoi rinnegare, nemmeno ora, con tutte
le ricchezze e gli onori che puoi vantare di fronte a te e
agli altri... tu sei profondamente monaco, come lo sei sempre
stato: monaco!”. “Ma... perché i monaci vorrebbero me
come Abate? – cercai di obiettare, tentando di porre una
nuova via di difesa – Non sanno che, oltre al fatto di essere
io ora un nobile e non più un monaco, ho anche vissuto e
sto ancora convivendo con tutte le cose del mondo? Con
tutti i suoi piaceri, i suoi poteri e i gli averi? Che sono queste
le cose che ora fanno la mia vita felice?... Come potrei
diventare Abate – e qui sorrisi ampiamente, come avendo
trovato una vita d’uscita – io, che con le donne ho a che fare
in tutta la mia vita... che tramo le ingiustizie e gli sfruttamenti
per avere di più, e ho più soldi che nei miei sogni?”.
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“Siamo certi che li lascerai... tutto lascerai, perché
quello che sei è qui: essere monaco!. E quanto al fatto di
aver vissuto tutte quelle realtà che sono negative, non ti
impedirà affatto di essere il nostro Abate; anzi, sarà una
conferma che quelle cose, così come le hai sperimentate,
non valgono. E se con esse tu hai convissuto fino ad oggi,
te lo ripeto, non l’hai fatto con libertà, ma l’hai deciso
quando, confuso e costretto da me, hai dovuto per necessità
di cose orientarti ad esse. E siccome io sono stato la
causa della tua lontananza da te stesso, ora sto cercando di
fare il possibile per avvicinare te stesso a te; e con il tuo
aiuto, me stesso a me!. Ora, ciò che è più potente non sono
né io né tu, né il male con i suoi malefici inganni, ma questa
situazione che ci fa superare tutto quanto e che, grazie
alla mia disgrazia, ci fa scoprire realtà immensamente più
grandi” e concluse volgendo il suo sorriso verso l’alto.
Pensai alla piccola fiamma, che ora stava bruciando
tutto ciò che c’era fuori e dentro di me; a come fosse divenuta
potente ed efficace in quegli istanti, in quelle parole,
in quella testimonianza che dava quel vecchio... pazzo!.
Pazzo anch’io a stare ad ascoltarlo!
Gia!... Ma era più forte di me il restare, il condividere;
e non era certo, questa volta, il fatto del Demonio che
stava agendo: percepivo come tutto quello che lui aveva
costruito per distruggere, ora perdeva consistenza ed efficacia,
di fronte a quella situazione.
E se davvero, come diceva l’Abate di se stesso, riusciva
ad avere ancora potere su qualcuno, quel Satana, ora, di
fronte a me, avrebbe potuto essere sconfitto; e anche tutte
quelle realtà negative di me e degli altri sarebbero riapparse
recuperate e rasserenate.
“Ma... non le hanno detto di confessare il suo delitto, i
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monaci?” chiesi, per sviare quel discorso che pareva ormai
compromettermi troppo.
“No. E poi, ciò che è stato detto loro da parte mia, là
nella sala del Capitolo, ho fatto loro promettere di tenerlo
sotto segreto; e loro l’hanno promesso! – e sorrise come
per dimostrarmi che tutto andava a favore delle sue parole
– E certo da qui capirai che effettivamente sono sotto il
potere di Satana: proprio perché non ho ancora voluto
confessare il mio delitto; ma hai anche la prova che proprio
tu potrai sconfiggerlo decisamente!”.
A quel punto, ero ormai sempre più confuso riguardo
alle mie realtà, che avevo cercato invano di difendere in
quei momenti; mentre mi appariva sempre più evidente la
chiarezza delle nuove realtà: quelle stesse che io, un giorno,
mio malgrado, avevo dovuto negare come conseguenza
della mia crisi... Ma che ora si riaffermavano come
novità, e non esitavano a farsi sempre più spazio in quel
terreno del mio cuore, che si stava sempre più rendendo
disponibile ad esse.
Sentivo che era più forte di me il riconoscere la validità
delle parole dell’Abate, perché erano, in fondo, le mie
stesse parole che io non ero riuscito ad esprimere; che
avevo taciute, e che fino ad un momento prima avrei ancora
tentato di negare apertamente.
Ma ciò che era nel profondo della mia vita, nel mio
cuore, era proprio in quel momento quella realtà che quel
vecchio religioso stava descrivendo e che mi invitava a
recuperare, come essenziale e autentica di me stesso: il
mio essere monaco, anche in quel momento.
Anzi, più profondamente di prima; al punto da farmi
rendere possibile, da quello che prospettavano quei monaci,
anche le scelte più impensate: lasciare le mie ricchezze,
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i miei onori e tutti i miei poteri, e accettare quell’enorme
assurdità: diventare il loro nuovo Abate!...Io!...
Dovevo riconoscere che la fortuna non mi stava affatto
abbandonando; che essa ancora mi stava affascinando con
la sua presenza; che era ancora lì con me.
Ma il modo come si stava presentando, ora era troppo
impegnativo, e mi faceva ancora esitare ad accettarla,
anche se la riconoscevo in tutta la vicenda come la realtà
più significativa, e che recuperava fino in fondo la mia
esistenza...
Com’era possibile che dopo quegli anni condotti nel
rinnegamento totale di tutta la mia vita di monaco, ora
potessi di nuovo rientrare in quella scelta con un’intensità
e in un modo ancora più profondi ed efficaci di prima?...
Al punto addirittura di aver di fronte a me la proposta
di diventare l’Abate: la guida della comunità in quel
Monastero?.
Lo stupore si mescolava sempre più al timore; la meraviglia
rendeva sempre meno efficace la mia reazione di
rifiuto che stavo presentando in quei momenti a me stesso
e a quel saggio anziano religioso.
Ero così sempre più vicino ai limiti della resistenza
delle mie considerazioni; mentre sentivo sempre più, alle
porte del mio cuore, il prevalere dell’intensità di gioia
che... mi fece esplodere in un pianto a dirotto, nel quale mi
sfogai con tutto me stesso, nascondendo il volto tra le
braccia poggianti su quella vecchia scrivania; e con il
volto ormai adagiato su di essa percepivo, tra i sospiri del
pianto, quel profumo delle cose antiche e del passato, che
accresceva in me la nostalgia delle realtà un tempo lì vissute,
e mi rendeva sempre più desiderabile ora il voler
recuperare ciò che pareva oramai dimenticato.
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L’Abate mi richiamò da tutti qui pensieri: “Beh...è l’ora
della recita della preghiera in coro; spero che anche tu
venga e partecipi con noi...”.
Rimasi attonito e sconcertato, di fronte a quell’invito; e
che potevo rispondere? Avrei quasi voluto dire di sì; ma,
ancora, la ragione e le considerazioni sul fatto di essere un
nobiluomo, mi frenavano e non mi davano la possibilità di
dare altra riposta che il mio silenzio... e la prudenza e il
timore di fronte a ciò che stavo compiendo mi suggerivano
di starmene lì a meditare il da farsi... e che forse tutto
si sarebbe presto normalizzato, e sarei tornato di nuovo
alla mia vita di sempre, dopo quella specie di incubo nel
quale mi stavo trovando, senza essermi ancora reso conto
del tutto di viverlo.
“Beh...- riprese l’Abate dopo alcuni istanti, constatando
la mia difficoltà a prendere una decisione di fronte a
quel suo invito a seguirlo in coro – fa’ come vuoi... rimani
pure qui a pensare alle tue cose, non farti problema. Io
vado alla preghiera; ci rivediamo più tardi, a cena” e staccandosi
da quella sedia, si abbandonò sul pavimento; e
cominciando ad aiutarsi con le braccia, si spingeva avanti,
verso la porta.
Mi alzai subito e gli andai incontro, cerando di sollevarlo
per aiutarlo ad alzarsi; ma lui gentilmente con la
mano, rifiutò di accogliere il mio aiuto: “No... no, non preoccuparti;
ora deve essere così, ed è giusto. Devo smetterla
di chiedere aiuto agli altri per i miei comodi; ed è anche
giusto che sia io a servirli, e a far capire a me stesso e a
loro che non sono ancora capace di farlo, a causa del mio
enorme egoismo”.
Poi continuò faticosamente a trascinarsi verso la porta;
la sospinse e si portò fuori, e la porta si richiuse.
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Io rimasi qualche istante ancora lì, allibito ed incantato,
impressionato da tutto quel succedere di cose che non
mi dava ormai più la possibilità di fingere con me stesso...
Poi anch’io andai ad aprire quella porta, e raggiunsi il vecchio
che, nel corridoio, procedeva a stento, nel silenzio
rotto soltanto dai sospiri della fatica e dell’ansimare; e mi
misi accanto a lui, camminandogli vicino, lentamente, in
direzione del coro.
Riprendere in mano ora uno di quei testi di preghiera,
mi faceva sentire non poco imbarazzato; non solo per il
fatto che non ricordavo quasi più nulla di quelle realtà e
del loro modo di svolgersi; ma soprattutto perché sentivo
in me ancora presente la mia identità di persona importante
e influente, che non mi permetteva di abbassarmi a
quel... sì, a quel Dio che doveva essere in quel momento
riconosciuto come l’unico e al di sopra anche di me; e
avrei esitato ancora per molto, se non ci fosse stata la presenza
di quel vecchio Abate, lì nel mezzo del coro, che
standosene seduto sul freddo pavimento, e più basso di
tutti gli altri, stava a pregare con una serenità impressionante,
che mi faceva fremere il cuore rafforzando la convinzione
che ciò che stava avvenendo era qualcosa di
veramente meraviglioso.
Così, trattenendo invano le copiose lacrime, e asciugandole
dal mio viso tra una prece e un inno elevato dai
monaci, mi resi conto di vivere quel momento di preghiera
in un modo intenso come non mai.
Non ricordavo molto di quelle parole; né, così commosso,
avrei potuto recitare o cantare anche soltanto qualcuna
di quelle parole che avessi letto... Ma quella preghiera,
tanto distratta nei pensieri e mancante nelle parole,
appariva ora come una realtà immensamente serena, che
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riempiva il silenzio del cuore, facendomi incontrare dentro
di me quell’’io’, quella ‘fiammella’ che ora si stava alimentando
in un fuoco intenso, caloroso e purificatore.
E quei monaci... che non si distraevano verso di me,
che non mi stavano ad osservare, ma continuavano la preghiera
come se io nemmeno fossi lì... Certo, erano cambiati
enormemente, con quella nuova realtà vissuta attraverso
il loro Abate.
Qualcuno di loro era stato mio compagno, amico, confidente,
in quel periodo di difficoltà nella vita da monaco
nei primi anni; ed ora, lì avevo ritrovati lì; si erano presentati,
al mio arrivo al Monastero, e io, anche se non immediatamente,
li avevo riconosciuti: tu sei... e tu... Eppure,
come li avevo visti cambiati in meglio!.
Anche ora, in quella preghiera, mi accorgevo che la
presenza di quell’anziano Abate che stava lì sul pavimento,
proprio quello stesso che per tanto tempo li aveva
martoriati ed allontanati da Dio, ora era proprio lui ad
essere motivo del loro avvicinarsi a quel Signore, che in
quegli istanti tutti quei monaci certo percepivano come il
loro Dio; e che anch’io, sempre più serenamente, stavo
riscoprendo.
Dopo la preghiera, ci si avviò al refettorio per la cena.
Tutti i monaci avanti; e per ultimo, trascinandosi piano
piano, lui: l’Abate, con me accanto.
Mi rendevo conto di essere sempre più indegnamente
vicino a quel Dio che strisciava accanto, sotto il peso di
quella colpa che l’Abate voleva mostrare come la sua, ma
che in quei modi richiamava anche a me come mia colpa:
quella di aver dimenticato quel Dio che non mi aveva mai
abbandonato, nel mezzo di tutte quelle vicende; e che
anche ora mi stava raggiungendo, nonostante tutto ciò che
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ero, attraverso il richiamo di quell’Abate, assassino penitente,
che mi faceva riconsiderare le realtà perdute, per
rimetterle con un senso nuovo nella mia vita.
Giunti al refettorio, dopo una breve prece di ringraziamento,
tutti quanti si accomodarono; e io al tavolo di centro,
quello riservato agli ospiti e ai monaci più giovani.
Lui, l’Abate, in un angolo, seduto per terra, con il piatto
che gli avevano posto sul pavimento, iniziò a mangiare
quelle poche cose, in silenzio, senza nemmeno alzare lo
sguardo. Sospirai, per nascondere la mia emozione, profondamente
colpito da quell’atteggiamento di tanta bassezza
e umiltà di quell’anziano, che mi appariva più santo
che mai, in quell’agire sempre più sconcertante, commovente
e convincente.
I monaci iniziarono a parlare tra loro; tutti, scambiandosi
impressioni e opinioni, con libertà e serenità; solo lui,
laggiù nell’angolo, rimaneva in silenzio, e non alzava mai
il volto, scrutando il nudo pavimento, tra una boccata e
l’altra, come se in esso scoprisse realtà interessanti. Mi
rivolsi al giovane monaco accanto a me: “Ma... e lui?”.
“Sempre così... – rispose quello con un profondo sorriso
– la sua vicenda, quella che lei ben sa, lo ha portato ad
essere segno in mezzo a noi di una realtà nuova”.
Rimasi un po’ stupito di fronte all’affermazione di quel
monaco che asseriva di conoscere già tutto quanto: delle
vicende di quel passato che non ci tenevo a far riaffiorare.
Ma compresi che occorreva, quel punto, che io mi abbandonassi
con fiducia a quel clima di profonda autenticità
che sentivo dentro e anche attorno a me; e gli chiesi:
“Quale nuova realtà?”.
“Come? Non la sta constatando? – mi rispose, invitandomi
con lo sguardo a osservare intorno – Non mi dirà che
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c’era questa atmosfera a quei tempi, quando lei si trovava
qui!”. “No, no, no di certo: tutto è cambiato” asserii.
“La nostra preghiera, il nostro stare insieme – proseguì
lui – e tutto quanto il resto, con la presenza di questo
Abate che si pone con questo suo essere segno per tutti noi
di una realtà più grande, sta portando a noi una serenità
immensa ...E ora, attendiamo ansiosi che anche lei compia
finalmente ciò che il Signore le sta suggerendo...”.
“Mah!... Non mi ci ritrovo ancora in tutto ciò... È una
cosa ancora troppo grande e impensabile...” dissi io, come
per iniziare una mia difesa; ma quel monaco proseguì:
“Già! E per questo solo lei è adeguato, e soltanto lei sarà
in grado di compiere questo impossibile; lei, e nessun
altro, nemmeno lui!” e volse di nuovo lo sguardo laggiù, a
quell’anziano che con la sua presenza rendeva ogni parola
significativa e profonda, in quel suo essere lì per terra,
a testimoniare la bassezza dell’uomo, e ad invitare ed esaltare
la grandezza di Dio.
“Certo – riconobbi fissando l’Abate che stava ancora là
col volto chino – il suo gesto è efficace, più di quanto
anch’io pensi!... E non è possibile rimanere indifferenti...”.
“Già...- fece l’altro monaco accanto, porgendomi il
piatto – Ciò che lui sta proponendo a noi è qualcosa di
grande veramente: lui ci chiede di parlare tra noi, anche
ora, mentre lui ci aiuta a farlo col suo silenzio e la sua
umiliazione. I nostri discorsi proprio per questo stanno
diventando sempre più sereni e profondi, illuminati e purificati
da questa sua presenza”.
“Ma...- gli chiesi io – non vi condiziona il fatto che lui
sia lì...?”. “Per niente, anzi, ci fa essere più liberi, qui, alla
preghiera, durante gli incontri” rispose; intervenne l’altro
monaco, proseguendo in quelle affermazioni: “È vero... E
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poi, abbiamo stabilito insieme con lui che si agisse così; e
siamo stati tutti quanti d’accordo, dopo che lui ci ha raccontato
tutto della sua vita passata e delle sue intenzioni di
ora”. Mentre parlavo con loro, sperimentavo l’efficacia di
quello che essi dicevano confrontandolo con la mia esperienza:
sentivo che la presenza di quell’uomo che lì, in
terra, si poneva come segno della presenza di Dio, faceva
cambiare tutto quanto in meglio.
E io stesso, ora, percepivo che non avrei continuato
ancora per molto a resistere a quell’invito di amore che
emanava da quel silenzio meraviglioso e significativo, che
avrebbe attratto a esso, e attraverso di esso a qualcosa di
più grande, chiunque lo stava incontrando.
Quel silenzio parlava, e sempre di più... di me, di quel
profondo mio essere autentico e ancora sconosciuto, che
però in quel momento trovava aiuto e confronto gioioso in
quel segno apparentemente assurdo e disumano; che tuttavia,
accolto nell’interiorità, diveniva motivo di crescita
della gioia e di un senso più profondo della vita.
Ecco, eccolo lì – mi dicevo – quel senso che cercavo
fino in fondo! Eccolo qui raggiunto e completato, quel
senso! Eccolo, finalmente! Accoglilo! Ora è questa la tua
fortuna! Sì, la fortuna è questa!...
Uno dei monaci, ad un certo punto, mi scosse da quei
pensieri, ponendomi di fronte alla domanda più semplice
ed imbarazzante, ma anche la più significativa in quella
situazione: “Ha già dunque deciso circa la nostra proposta?
Siamo ansiosi di sapere...”.
Gli altri monaci abbassarono la voce, a poco a poco,
richiamati gli uni dagli altri; finchè, il silenzio fu assoluto. E
quel silenzio mi si presentò di fronte come un’immensa possibilità:
potevo dire tutto quanto, in quella piccola parola!
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E mi bastò in quell’attimo una risposta a voce tremante
per l’emozione, ma serena e decisa nella mente: “...Sì”
dissi, mentre quella piccola risposta parve riecheggiare
all’infinito nel silenzio della sala. L’anziano Abate aveva
allora alzato gli occhi verso di me, con un sorriso appena
accennato, come per invogliarmi a continuare, e a non
temere.
“Sì! – riaffermai con un tono più sicuro – Sarò il vostro
Abate, se lo volete!”.
Scrosciò un applauso generale, mentre tutti i monaci si
erano alzati in piedi entusiasti e si sorridevano; sul volto
dell’anziano Abate, seduto là nell’angolo, apparvero le
lacrime della profonda emozione e dell’intensa gioia di
quel momento; gli sorrisi, poi mi alzai, mi avvicinai a lui,
mi chinai e lo strinsi fortemente tra le braccia.
Due giorni dopo, convocai i miei aiutanti e i domestici
che mi avevano accompagnato nel viaggio, e divisi tra
loro le mie sostanze; in effetti, avrei voluto donare tutto
quanto al Monastero, ma il vecchio Abate mi aveva sconsigliato
di farlo: quella ricchezza e tutti quei tesori, avrebbero
fatto meglio la loro figura là fuori, dove dovevo
lasciarli, con tutto quell’’io’ che avevo abbandonato.
Dopo aver ringraziato tutti i miei collaboratori e salutati
uno ad uno, li lasciai, augurando loro una buona fortuna
...E così, divenni il nuovo Abate di quel Convento.
Si era realizzato quel destino di fortuna che mi era stato
annunciato dal vecchio Abate: sentivo che veramente, proprio
con il suo aiuto, tutto stava procedendo per il meglio:
la mia vita, sempre più ricca di serenità, di grazia e di luce;
la vita del Convento che, purificata dopo quelle prime tristi
vicende, ora era più florida e viva che mai; anche alcuni
giovani, nel frattempo, erano entrati a far parte della
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comunità, e ciò era sempre più motivo di speranza e segno
che quella nuova situazione era positiva.
Da parte sua, il vecchio Abate dava una testimonianza
che arricchiva sempre più profondamente ogni momento,
da quello più serio a quello più sereno: la sua presenza
umile e stimolante rendeva tutto più affascinante e vivo,
autenticamente vero.
Quel Dio, quello che la ‘fiammella’ dello zio morente
mi aveva indicato inconsciamente e da lontano, ora mi si
avvicinava sempre più, facendo ardere quel fuoco che
purificava, dava senso e calore alla mia vita di uomo...
monaco... e ora, Abate.
Quel Dio che, prendendosi la rivincita, mi stava facendo
veramente vincere in tutto ciò che ero di me stesso,
esaltando in me ogni realtà, ogni atteggiamento, ogni
situazione, portandola a Lui e a Lui riferendola. Ora, ero
veramente io! Me stesso!
Rivedevo quel passato di rinnegamento: le ricchezze,
gli onori, i piaceri ai quali ero stato legato; ora apparivano
come superati, come dei gradini per salire, mentre avrei
pensato di dover scendere sempre di più, stando solo a me
stesso, alle mie considerazioni. Ringraziavo anzi il
Signore di quel passato, alla luce del quale ora anche tutto
il presente acquistava un senso più profondo che mai, ed
ogni cosa veniva ad esso raffrontata, e veniva così purificata
ed arricchita.
Sentivo ora quella nuova nobiltà che emergeva dall’umiltà
che mi si presentava di fronte nell’anziano Abate;
quella ricchezza che emergeva nel sorriso dei monaci, e
che non sarebbe mai stato possibile avere a peso d’oro;
quella gioia che, confrontata a quei piaceri passati, mi
faceva capire che essi me la stavano indicando, con la loro
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incapacità a soddisfarmi pienamente; e che ora mi veniva
sottolineata con quella serenità della fede che mai più
avrei abbandonato.
Era, tutto questo, motivo per dire grazie a Lui: a quel
Dio che appariva sempre più come il misterioso, l’imprevedibile,
il sorprendente e il sorridente.
E anche di fronte al mio essere indegno e peccatore,
ogni volta – mi immaginavo – sorrideva e mi invitava a
guardare avanti, e mai indietro.
Essere monaco: questo era veramente il senso della mia
vita, che a tentoni, dopo tante difficoltà e sbandamenti, ora
però mi era stata fatta la grazia di trovare e di vivere con
profondità e decisione.
Poco tempo dopo la mia elezione ad Abate, un giorno,
l’anziano e saggio Abate mi confidò la sua decisa intenzione
di confessare anche alla giustizia umana tutto quanto
era successo un tempo; e naturalmente parlando soltanto
di sé, senza coinvolgere chiunque altro, come me o i
suoi stessi monaci che, pur essendo venuti a conoscenza
delle cose, avevano fino ad allora osservato strettamente il
segreto richiesto loro.
“Sì – concluse dopo avermi esposta la sua intenzione di
confidare la cosa prima di tutto al più diretto interessato
alla vicenda: a quel Fattore, che ormai da tempo viveva da
solitario in quella fattoria accanto al Convento – è giunto
anche il tempo per questa confessione. Finora ho taciuto,
ma ora anche questa verità deve venire a galla pubblicamente,
e con tutte le conseguenze che mi riguarderanno; e
che certo non temo, alla mia età e dopo tutte queste esperienze”.
Già...anche quando fosse stato dichiarato colpevole,
che avrebbero potuto fare a quel vecchio Abate, che
si era ridotto a vivere da monaco nel Convento, con una
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gamba amputata e una cancrena di forma progressiva che
lo faceva sempre più deperire? Certo, si sarebbe tenuto
conto di questo, nel fare giustizia; più che tutto, occorreva
che lui confessasse quella sua colpa antica che ora, ancora
più di prima, gravava sulla sua coscienza.
Già: era proprio giusto quello che intendeva fare. Gli
diedi quindi la mia piena approvazione, assicurandogli
l’aiuto da parte di tutta la comunità dei monaci che, qualunque
cosa fosse accaduta, non l’avrebbe mai abbandonato,
e avrebbe sempre continuato ad assisterlo e a tenerlo
come un fratello caro e prezioso.
E così, lui decise di farsi condurre alla casa del Fattore,
per confessare prima che ad ogni altro, a lui, la vicenda
della scomparsa della moglie.
Due monaci lo accompagnarono là; il vecchio Abate
disse loro di lasciarlo lì, e di ripassare a prenderlo non
meno di due ore dopo.
Quando i monaci ritornarono, più tardi, trovarono i due
in una pozza di sangue, ormai morti.
L’anziano Fattore, già provato dalla scomparsa misteriosa
della moglie, e spesso soggetto a forme di esaurimento,
di fronte a quella confessione probabilmente non
era riuscito a controllarsi: aveva preso un coltello dalla
cucina, e dopo averlo infossato nella schiena del vecchio
Abate, in preda allo sconforto e alla disperazione, se l’era
conficcato nel cuore...
Realizzando una fine, per sé e per il vecchio Abate,
secondo quei piani di malvagità che avevano da sempre
avuto il potere in quella vicenda; e che ora – lo provava la
situazione che si era creata – confermavano che lui, il
Demonio, stava ancora agendo trionfante, anche in quel
momento, su quel vecchio Abate, che, pur conscio del
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pericolo, non si era tirato indietro di fronte al rischio della
morte, consapevole che essa non era altro che l’ultima
mossa trionfante di quel Satana che ora, dopo quel suo
sacrificio, stava ricevendo la dura sconfitta, come il vecchio
Abate stesso aveva affermato, dalla mia presenza.
E l’ultimo atto di quella situazione presentava proprio
il trionfo apparente di Satana, con quella morte tremenda
per quei due, segno del potere finale di un Demonio che
ruggiva così di fronte al fatto che le cose ora stavano cambiando
in meglio, e per lui non vi era ormai più la possibilità
del trionfo.
E così, anche la morte di entrambi era il segno della
validità delle parole del vecchio Abate, e la prova che io
ero veramente la possibilità che Dio aveva posto, in quella
situazione, per sconfiggere quel potere maligno che
aveva dominato fino ad allora.
Le indagini proseguirono per un po’, alla ricerca del
motivo di quel misterioso delitto; ma il promesso silenzio
dei monaci non permise a nessuno di entrare nel profondo
di quei fatti e di ricostruire l’accaduto; e così, dopo un po’,
si giunse da parte dell’autorità giudiziaria a stabilire che il
delitto era stato commesso da un vecchio Fattore sclerotico,
che in preda alla furia perché non riusciva a mettersi
d’accordo con il vecchio Abate circa la manutenzione e la
gestione della fattoria e del terreno di proprietà del
Monastero, aveva perso il controllo di sé e aveva compiuto
quel duplice omicidio che ormai era già stato punito con
la morte; e con questo, di fronte alla giustizia umana, il
caso fu chiuso.
Al Convento era allora venuta a mancare la persona
fondamentale: quel vecchio Abate che si era sempre
dichiarato, di fronte ai monaci, un posseduto da Satana.
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Ora lo si stava riscoprendo come l’anima della rinascita
del Monastero: di quel Convento nel quale, un tempo,
proprio a causa di quell’Abate era avvenuta la perversione
dei costumi, della vita morale, e ora divenuto il luogo
della conversione, ancora grazie a quello stesso Abate, che
un tempo l’aveva rovinato, e che per riparare aveva fatto
poi di tutto, perché la conversione sua portasse anche
attorno i frutti della grazia.
E lottando contro quella forza impossibile da vincere
da solo, contro quella forza che era il potere del male e del
proprio egoismo, aveva posto in me un’ancora di salvezza;
e lui stesso la stava guidando verso la soluzione;
ponendosi, con la sua morte, come causa della rinascita
del Convento, della vita monacale, del senso stesso di Dio,
e del ritorno a Lui da parte di tutti quanti.
Di lui, per primo, che dal suo essere schiavo di un potere
più forte di sé, era riuscito a lanciare il segno della speranza,
con l’accogliere su di sé quel male, che conducendolo
verso la morte, gli dava anche, nello stesso tempo, la
possibilità di riscoprire la vita, la verità e la vittoria del
bene. Era morto colui che dopo aver reso il Monastero un
Convento di perversione, gli stava dando la possibilità di
riscoprirsi come il luogo della conversione. Pochi giorni
dopo la sua morte, trovai una lettera nella stanza del vecchio
Abate, un documento personale indirizzato proprio a
me. Era il suo testamento, nel quale non lasciava niente a
nessuno, perché ormai niente aveva; più che altro, chiedeva
un favore a me personalmente; così dicevano le sue
volontà: “Caro fratello Abate, non ti chiedo che una cosa:
fa’ che ciò che è successo a noi e attraverso di noi, non
rimanga soltanto una cosa della quale noi possiamo trarre
occasione per ringraziare il Signore.
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Per questo ti prego e ti chiedo di testimoniare questa
vicenda, nella quale pure tu da me sei stato coinvolto nel
diventare l’Abate del Monastero. Non tacerla, questa vicenda,
ma narrala a testimonianza, perché si possa vedere come
da tanto male, il Signore Iddio sia sempre colui che trae il
bene e le cose positive. E ringrazio infine anche te, per avermi
fatto capire proprio questo, fino in fondo: che dalla
colpa, da quei peccati, il Signore ha tratto, attraverso le sue
misteriose vie, l’occasione per la mia conversione. E ciò
può essere di aiuto, forse, anche ad altri. Testimonia, te ne
prego vivamente, questo suo grande amore”. In fondo al
foglio, poi, una piccola postilla diceva: “Se però, dopo aver
letto questo mio invito, non crederai opportuno fare ciò, non
ti preoccupare: avrai comunque fatto la cosa migliore ascoltando
queste mie ultime parole. Se riterrai che esse più che
giovare possano recare danno, taci e annienta questo invito,
che io forse ti sto facendo dietro la spinta di un maligno che
è pur sempre ancora trionfante dentro di me. Decidi tu, e
auguri per il tuo futuro”. Dopo averci pensato per un po’ di
giorni, ho deciso per una via di mezzo: raccogliere la vicenda
come il diario personale della mia vita, senza farlo apparire
subito esternamente.
Poi, ho inserito il manoscritto tra la miriade dei documenti
della Biblioteca del Monastero madre, affidando il
tutto alla sorte; o meglio, a quella ‘fortuna’ che mi ha sempre
assistito; e che certamente guiderà il destino, che stabilirà
se è il caso che qualcuno scopra e divulghi questa
testimonianza, o la lasci tra i documenti, a giacere per
sempre. E Dio, in questo destino, certamente porrà la sua
volontà. A Lui affido la testimonianza che mi è stata
richiesta di dare.
A Lui, che vive e regna nei secoli dei secoli.